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Batterie, cos’è la carbon footprint e perché è cruciale per il nuovo Regolamento europeo

Tra le misure contenute nel nuovo Regolamento è inclusa una in cui si prende in considerazione l’impronta di carbonio. Ma cos’è la carbon footprint e perché potrebbe rivoluzionare il mercato europeo delle batterie? Lo spiega Giovanni Dotelli, docente di Ecodesign the Future Battery edition

Il nuovo Regolamento per le batterie è alle porte. Secondo quanto riportato da Mattia Pellegrini, capo unità della Direzione generale Ambiente alla Commissione europea, entro marzo il testo definitivo sarà pronto e immediatamente applicativo per tutti gli Stati membri.

Tra le misure contenute nel nuovo Regolamento è inclusa una in cui si prende in considerazione l’impronta di carbonio relativa alle batterie industriali – ad esempio quelle che vengono utilizzate all’interno delle aziende per alimentare macchine di movimentazione come i muletti elettrici – e alle batterie per veicoli elettrici. Come si legge nella bozza del Regolamento, l’Europa deve decidere se puntare su un “livello di ambizione medio” che consiste nella dichiarazione obbligatoria dell’impronta di carbonio, oppure su un livello di ambizione più elevato, che prevede di introdurre delle classi di prestazione delle batterie rispetto all’impronta di carbonio e individuare delle soglie massime, oltre le quali le batterie non possono entrare nel mercato europeo.

Anche se ci si orienterà verso il primo obiettivo, si tratta comunque di un cambiamento radicale che vedrà, per ogni batteria immessa sul mercato europeo, una sorta di “carta d’identità” sulla quale dovrà essere indicata anche l’impronta di carbonio o, in inglese, carbon footprint. Questo parametro diventerà centrale nella nuova direttiva, è necessario dunque capire di cosa si tratta e quali benefici ne possono derivare.

Di questo si è parlato nel corso dell’ultima lezione di Ecodesign the Future Battery edition –  il workshop di alta formazione di EconomiaCircolare.com in collaborazione con Erion Packaging – tenuta da Giovanni Dotelli, professore di Scienza e Tecnologia dei Materiali al Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta” del Politecnico di Milano.

“Tutto questo ha sollevato un grande interesse e, in qualche caso, preoccupazione – ha spiegato Dotelli – perché potrebbe mettere uno stop ad un produttore ritenuto non sostenibile: tutto comincia a collocarsi in un’ottica di sostenibilità”.

Ma facciamo un passo indietro.

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Cos’è la carbon footprint di prodotto (CFP)?

La carbon footprint of products (CFP) o carbon footprint (CF) è la somma delle emissioni di gas climalteranti e delle rimozioni di gas ad effetto serra tramite attività naturali e antropiche (come i sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio, CCS).

L’impronta di carbonio prevede quindi sia impatti positivi, cioè le emissioni in atmosfera ma anche impatti negativi, cioè la rimozione di gas a effetto sera. Si esprime in biossido di carbonio equivalente (CO2e) e si basa sull’analisi del ciclo di vita, ma – e qui sta la differenza con un’analisi LCA, che invece vanta una certa completezza – utilizzando come unica categoria di impatto quella dei cambiamenti climatici.

Per calcolare l’impronta di carbonio durante il ciclo di vita è necessario prendere in considerazione i materiali del prodotto in questione, l’energia e i materiali ausiliari utilizzati in un determinato stabilimento per produrre quel modello di batteria. In particolare, occorre identificare con precisione i componenti elettronici (ad esempio le unità di gestione o di sicurezza delle batterie) e i materiali catodici, in quanto possono risultare il fattore determinante nel calcolo.

Per quanto riguarda l’impronta di carbonio di prodotto, ha spiegato Dotelli, la norma di riferimento è la ISO 14067 del 2018: “quella che prima era un technical report e non permetteva di certificare è diventata norma a tutti gli effetti nel 2018, è stata redatta dalla ISO ma l’Europa l’ha fatta sua, spiegando come si fa un’impronta di carbonio di prodotto, in particolare delle batterie”.

L’unica differenza tra la definizione data nel 2018 dall’ISO, rispetto a quello che c’è nel nuovo Regolamento è proprio che è necessario utilizzare lo studio sull’impronta ambientale di prodotto, in inglese Product Enviromental Footprint (PEF)”.

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di Silvia Santucci

 

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