Quando lo abbiamo raggiunto al telefono per questa intervista, Raffaele Del Giudice, Presidente di ATO Napoli 1, ha più volte ringraziato “di cuore” Erion Energy per aver portato Energia al Cubo nei territori della città metropolitana di Napoli. Ha confessato di essersi commosso per la partecipazione delle famiglie alla cerimonia di premiazione svoltasi lo scorso 4 marzo a Napoli. Gli abbiamo ricordato di quante persone presenti in quell’occasione ha fatto commuovere lui con parole di speranza, di legalità e di entusiasmo pronunciate in un luogo in cui spesso non si riesce a sperare più. ErioNews raccoglie in questa intervista la visione di un Uomo e di un professionista che non ha mai abbandonato l’impegno per la crescita di un Sud migliore.
Presidente, durante la premiazione delle scuole della città metropolitana di Napoli che hanno partecipato a Energia al Cubo, Lei ha evidenziato l’importanza di progetti orientati al miglioramento del futuro al Sud. Ci racconta quello che, secondo Lei, è il valore di tali iniziative?
Innanzitutto, ci tengo a esprimere un forte ringraziamento ad Erion Energy e al progetto Energia al Cubo che, per noi al Sud, rappresenta un esempio di quella che io chiamo la “filiera istituzionale”. Dalle nostre parti, soprattutto i ragazzi, sentono spesso un distacco tra le istituzioni e i cittadini. È triste pensare che molti di loro percepiscano il futuro come una minaccia e non abbiano una visione, un progetto, che non vivano con partecipazione la comunità. Un’iniziativa come Energia al Cubo ha messo insieme il patrimonio culturale dei territori, rafforzando la filiera istituzionale composta dall’ATO, i comuni, i dirigenti scolastici, la scuola, i ragazzi e le famiglie. Questo treno di civismo, con tutti i vagoni agganciati che si sono mossi all’unisono, per i ragazzi ha rappresentato lo Stato.
È un concetto non semplice da ricordare nel Mezzogiorno?
È un concetto non semplice da spiegare. Quando i giovani chiedono che cosa sia lo Stato diventa molto complicato offrire una spiegazione immediatamente comprensibile, ma se si ha la fortuna di avere sottomano una cassetta degli attrezzi, come il progetto Energia al Cubo, il concetto di Stato diventa molto più facile da far capire: tutti i vagoni sono importanti affinché il treno arrivi in stazione.
Qual è la stazione?
In questo caso l’arrivo è la salvaguardia dell’ambiente. Un concetto incredibile che non è quantificato e che sembra lontano, ma che è possibile far vedere con chiarezza. Quando Erion Energy ci ha proposto di partecipare a Energia al Cubo, c’è stata un’iniziale diffidenza. Le domande erano quelle di chi non ci credeva: “Perché hanno scelto noi? Qualcuno parla male di noi? Siamo finiti nelle cronache?”. La risposta a queste domande era semplice: il Consorzio è arrivato da noi perché ci credeva, perché anche Napoli fa parte dell’Italia. Questo ha fatto scattare un moto d’orgoglio che ci ha permesso di dimostrare che, se ci impegniamo, anche noi sappiamo fare le cose. Questi ragazzi hanno raccolto materialmente degli oggetti, come le pile portatili a fine vita, che altrimenti avrebbero inquinato il territorio. Durante la premiazione è stato emozionante vedere la partecipazione e la fiducia degli studenti soprattutto perché, all’inizio, l’organizzazione del progetto è stata davvero complicata dato che l’ATO è una struttura abbastanza giovane e i comuni non hanno personale da poter dedicare a tali iniziative.
Durante la premiazione Lei ha definito Energia al Cubo come una “cogenerazione delle attività”.
È un modo per evidenziare l’importanza di un lavoro di squadra per la riuscita del progetto, a partire da quello dei bambini che hanno fisicamente raccolto le pile esauste. È stato meraviglioso vedere le loro famiglie portare nelle proprie case la scatolina gialla, che nel tempo è diventata un oggetto del desiderio sempre più richiesto da nuove scuole, associazioni ed enti.
Quanto possono influire campagne di sensibilizzazione come Energia al Cubo su problematiche serie come la dispersione scolastica?
Tantissimo. Io sono anche un educatore ambientale e giro molto per le scuole. Quando vedo che, nelle classi, anche l’ultima fila è interessata a ciò che noi raccontiamo allora ho la certezza di essere sulla strada giusta. Quando le ultime file si comportano come le prime, quando alla fine del progetto nessuno vuole andare via e chiede addirittura il bis, tanto da spingere gli enti locali e le aziende a impegnarsi a loro volta, allora vuol dire che tale progetto è riuscito vincente. Siamo felici anche di aver notato uno sforzo incredibile non solo da parte dei ragazzi, ma anche da parte dei docenti e delle famiglie. Il giorno della premiazione li avrei abbracciati tutti. I ragazzi hanno avuto la sensazione di poter fare la differenza facendo qualcosa di utile.
C’è anche il rischio di finire nelle maglie della criminalità.
Non c’è dubbio. Gran parte del nostro territorio è a rischio, come lo sono anche altre zone d’Italia. La criminalità ora raggiunge i giovani attraverso i social network e per questo bisogna stare ancora più attenti. Se non saremo in grado di decifrare i nuovi linguaggi ed entrare in connessione con loro con messaggi positivi, lasceremo il campo libero all’azione di proselitismo della criminalità organizzata che, oltre che nelle piazze reali, si è insinuata anche in quelle digitali. Contrastare questa distorsione della società è una sfida che riguarda tutti.
Come si combatte, secondo lei?
Le ecomafie, il ciclo illegale dei rifiuti, la speculazione edilizia, la terra dei fuochi e tanto altro, sono dei problemi che in tanti della nostra generazione hanno combattuto a mani nude. Il sistema Italia non ha fatto tanto permettendo, come nel caso della terra dei fuochi, che passasse un messaggio distorto: quello del totale inquinamento della Campania e dei suoi prodotti. Si è preferito accusare, invece di aiutare questa regione a perimetrare quei pochi appezzamenti di terra devastati da mani criminali e valorizzare gli altri grandi prodotti locali. La cattiva nomea e l’abbandono del territorio hanno compromesso una crescita sana di molti giovani, ma ci sono tantissimi ragazzi, che io definisco come la “qualità culturale silenziosa del territorio”, che invece hanno voglia di crescere e che devono essere premiati perché alla ricerca del vero sapere e delle competenze.
Negli anni passati il tema dei rifiuti in Campania è stato più volte al centro delle cronache. È cambiato qualcosa negli ultimi tempi? Il territorio è più ricettivo su tematiche quali l’economia circolare e la raccolta differenziata?
Nel 2003 ero Direttore di Legambiente Campania e, nel rapporto annuale dell’organizzazione, usai per la prima volta la locuzione “terra dei fuochi” per descrivere un grave fenomeno che colpiva la mia terra. Da allora ad oggi sono cambiate tantissime cose, come la nascita di comitati e associazioni. Persino la Chiesa ha iniziato a coinvolgere le comunità per il recupero dei territori. Si è iniziata una rivoluzione culturale poco sentita dal resto dell’Italia, marginalizzata, relegata a fenomeno locale. In realtà è un cambiamento che ha coinvolto tutto il Paese, perché nella terra dei fuochi sono arrivati anche i rifiuti del Nord.
Ritorniamo a Energia al Cubo: un progetto di educazione civica che guarda all’economia circolare. È ottimista sul futuro delle nuove generazioni su questo fronte?
Abbiamo una divisione netta: ci sono ragazzi estremamente impegnati e altri che non riescono a vedere la progettualità: è come se il futuro fosse diviso in due tra speranza e minaccia. L’economia circolare al Sud può rappresentare un volano di sviluppo, ma dev’essere una strategia che parte dalla competenza. Dobbiamo creare green jobs sul nostro territorio, con le nostre infrastrutture, e portare l’economia circolare fra le persone partendo da comunità energetiche basate su fonti rinnovabili e impianti made in Italy. La sfida più grande è impedire che i ragazzi vedano questi come sogni irraggiungibili.
Qual è stato il risultato raggiunto da Energia al Cubo nella città metropolitana di Napoli che l’ha colpita di più?
Ne cito due: i genitori che sono venuti di pomeriggio alla premiazione e il senso di felicità che hanno provato i bambini, perché per la prima volta si è fatta una cosa per il territorio. Eravamo tutti insieme, nessuno si è potuto né voluto tirare indietro. C’erano, come sempre, anche i soliti disfattisti, però quel giorno abbiamo vinto noi ed è stata una vittoria collettiva.
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